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USA Coast to Coast with baby Julia

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Coronado Island

Cosa ti aspetti da un viaggio con il baby? Sicuramente comodità, tranquillità e sicurezza. Quando si viaggia con i bimbi si hanno mille paure, soprattutto se i bambini non sono ancora totalmente autonomi. Ci sarà cibo? Ci sarà un medico? Ci saranno tutte le comodità che ho a casa? Alla fiine la mamma italiana preferisce non allontanarsi troppo perché non si sa mai. E così, mentre noi italiani guardiamo il mondo da un oblò, gli stranieri viaggiano senza confini e senza paure. E lo fanno anche con bambini molto piccoli e lo fanno con naturalezza, portandoli in fascia così da viaggiare comodi e senza accessori ingombranti come il passeggino.

  Esattamente un anno fa eravamo super emozionati per il bellissimo viaggio che ci avrebbe visti protagonisti a breve e, diciamolo con tutta sincerità, eravamo anche un po’ spaventati, in fin dei conti siamo sempre genitori italiani. Ci attendeva l’America, ci attendeva un tour coast to coast con una bimba di un anno e mezzo, ci attendevano voli lunghissimi e scali impegnativi, ci attendeva un viaggio emozionante, ma anche molto stancante. Più si avvicinava il giorno della partenza, più aumentavano le nostre paure, più ci perdevamo tra le pagine di internet in cerca di chissà quale risposta alle nostre domande.

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Fortunatamente la partenza è arrivata così, più prepotente che mai, nel cuore della notte. I nostri volti assonnati, il taxi carico della nostra adrenalina, la città eterna che ancora dormiva e poi l’aeroporto con la luce fredda, i bagagli in partenza, i rumori di chi non dorme mai. Le paure si sono dissolte come siamo saliti sull’aereo e Julia, con estrema naturalezza, ha iniziato a fare amicizia con gli altri passeggeri, a prendere confidenza con tutta quella novità per poi crollare in un sonno tranquillo risvegliandosi solo all’atterraggio a Londra. Ma non era quello il volo che ci preoccupava. Dopo qualche ora di scalo british avremmo affrontato il volo per San Fransisco. Il volo perfetto, lungo ma tranquillo, durante il quale Julia ha dormito, giocato, mangiato e fatto amicizia con dei francesi. Arrivati a San Fransisco abbiamo capito che potevamo iniziare a tranquillizzarci perché lei era decisamente più brava e meno smaniosa di noi. Ed è proprio nel momento in cui si abbassa la guardia che il nemico colpisce ed il nostro nemico si chiamava febbre. L’indomani ci siamo svegliati con un bel 38.5 e con un biglietto per Alcatrax già acquistato dall’Italia. Sarà stata la lontananza da casa e dai pensieri dei genitori italiani, ma abbiamo agito da stranieri, le abbiamo dato la medicina, l’abbiamo coperta bene, sistemata con cura nel passeggino (il DNA è quello e abbiamo viaggiato accessoriati) e siamo andati. Morale? Abbiamo avuto ragione noi, la sera non aveva più la febbre e non l’ha avuta più durante tutta la vacanza. Abbiamo affittato un’auto grande, nella quale abbiamo viaggiato comodi e parliamo di 4 adulti, una bimba, un passeggino, 5 bagagli, acquisti vari e l’immancabile Teddy amico di mille avventure.

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E’ stato semplice, così, passare dalla misteriosa San Francisco al fascinoso Yosemite, attraversare l’assolata Death Valley, entrare nella sempre sveglia Las Vegas, passare per la militaresca San Diego e giungere poi nella big apple New York.

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La salita impegnativa di Lombard St, le auto pazze di Bay St, i leoni urlanti del Pier 39, le carceri fredde e solitarie di Alcatrax, le raffiche di vento del Golden Gate Bridge,  i negozietti modaioli di Sausalito, Julia era pronta per altre avventure. Temeraria e stoica ha viaggiato su un bus turistico totalmente all’aperto con tanto di pioggerellina fine e fastidiosa. Timidi e spaesati abbiamo elemosinato un passaggio su un bus turistico dopo aver percorso stradine non proprio pedonabili, decisamente non pedonabili, e con una baby nel passeggino protetta nel migliore dei modi dalla pioggerellina fine e fastidiosa.

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L’incontro con procioni, scoiattoli  e corvi imperiali, la conoscenza di cascate fascinose, la scoperta di montagne spettacolari per poi perdersi nell’entroterra del parco dello Yosemite. Abbiamo viaggiato in auto per ore prima di arrivare a destinazione, nel cuore della notte con JP sempre pronta ad ogni imprevisto, sempre con il sorriso sul volto. Lungo il percorso che ci ha condotti a destinazioni non meglio conosciute abbiamo avuto un incontro ravvicinato con un grizzly, ovviamente impagliato, ma decisamente poco socievole anche da morto e JP ha cercato di fare amicizia anche con lui dopo averla fatta con un tipico americano molto particolare di una località ancora oggi a noi sconosciuta. Arrivati, finalmente, in hotel a notte fonda o mattino presto (dipende dai punti di vista) abbiamo avuto giusto il tempo di non capire come si poteva stare in orizzontale che abbiamo sentito quel fastidiosissimo suono della sveglia. E chi era sveglia? JP era pronta per la colazione come se nulla fosse e siamo andati alla ricerca di un bar, assonnati noi, fresca lei.

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Dopo il freddo neanche troppo pungente incontrato nello Yosemite siamo stati accolti dal caldo secco della Death Valley, tipico dell’ambiente desertico. Quì abbiamo avuto incontri ravvicinati con i coyote, gli scorpioni, ma anche con un bellissimo cielo stellato che difficilmente rivedremo. Quì abbiamo passeggiato su dune di sabbia e camminato su un lago di sale. Abbiamo attraversato una città magica, set di parecchi film western, abbiamo fatto colazione con i cowboys e fatto l’inchino alla bandiera. E mentre mostravamo le bellezze di un cielo stellato talmente tanto perfetto da sembrare finto, indicando il piccolo carro, il grande carro, qualche costellazione ed altre perle inventate sul momento abbiamo perso di vista lui, il compagno di tutte le avventure e disavventure come in questo caso, il fedele Teddy. Caduto silenziosamente nel cuore della notte, nelle tenebre della Death Valley, lungo una stradina illuminata solamente dalle stelle e nulla più. E quando lo abbiamo scoperto? Arrivati in camera, ovvio. E chi è andata alla ricerca di Teddy? La sottoscritta, ovviamente. Ed è stato ritrovato? Ovvio che si, in terra da solo, impaurito lui, tremendamente spaventata io dopo essermi incontrata e scontrata con un mostriciattolo nero non meglio identificato.

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Ad attenderci, poi, c’era la scintillante Las Vegas, la città in cui non si dorme mai, la città delle luci a tutte le ore, degli hotel fantasmagorici che sono delle vere e proprie città nella città. A Las Vegas abbiamo partecipato al matrimonio in compagnia di Elvis e anche quì JP è stata la protagonista accompagnando la sposa all’altare e lo ha fatto con un bouquet di rose blu con il quale prima ha spolverato il tavolino della cappella. Lei, in elegante gonnellina luccicosa, è salita su una grande limo (come la chiamano negli USA) con estrema naturalezza, si è accomodata ed ha iniziato a ridere tutta soddisfatta, lei la principessa de noantri. Quella sera, dopo il matrimonio anzi il remerry dei miei genitori, JP si è sposata prima con il papà e poi con me perché il nostro legame sarà eterno (ovviamente non ha voluto sposarci sigh). Abbiamo dormito al Venetian, cenato al Caesar Palace, passeggiato tra le calle, mangiato cupcakes da Carlo’s Bakery (Buddy per intenderci), incontrato gladiatori ed attori veri o presunti e JP ha accolto tutto e tutti sempre con il suo fedele amico Teddy in braccio.

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Tale Madre Tale Figlia a Las vegas
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Siamo stati, quindi, accolti da una San Diego multietnica, multicolorata, multitutto. E lo abbiamo fatto percorrendo la mitica, e sottolineo mitica, Route 66. L’abbiamo percorsa, toccata, fotografata, vissuta, insomma l’abbiamo impressa nelle nostre menti e nei nostri corpi. San Diego è sicuramente una città militare come ci avevavo detto, dove abitano molti reduci di guerre, ma è anche una città colorata, allegra, moderna. Come la maggior parte delle città costiere a colpire subito sono le luci dello skyline riflesse nell’oceano. C’è la vacanziera località La Jolla, bellissima con le sue villette e puzzolente con i suoi leoni marini che, noncuranti dei turisti, se la spassano al sole delle calette dove una volta si poteva cercare un po’ di relax. Ne è rimasta sola una a disposizione dei bagnanti, ma qualche foca temeraria ha cercato timidamente di appropriarsi anche di quel pezzetto di spiaggia. E lo ha fatto come nulla fosse, sotto lo sguardo stupito ed impaurito dei bagnanti che le hanno viste arrivare a riva mentre i bambini giocavano con le onde. C’è la storica Old Town dove si intrecciano due mondi differenti, due culture opposte, il western in bianco e nero ed il messicano in mille colori. Quì JP ha conquistato una signora stile casa nella prateria che, quando l’ha vista, è rimasta affascinata ed ha iniziato a farle complimenti. C’è la caotica Little Italy dove si parla, si parla, si parla, proprio come in Italia. Abbiamo posato sotto la famosa statua del marinaio e l’infermiera tentando di imitare quanto più possibile la posa per poi rinunciare ed andare sul sicuro. Attraversato, poi, il Coronado Bridge siamo giunti alla Coronado Island, perfettamente curata, unica nel suo stile, con lo storico Hotel del Coronado nel quale sono state girate alcune scene di A qualcuno piace caldo con la mitica Marylin Monroe. Un hotel che ha mantenuto il suo stile storico, ma che è così perfettamente moderno, dove una suite vista mare costa quanto una casa vista Prenestina. JP in questo lusso estremo si è trovata totalmente a suo agio, lei che è princess inside, si è divertita a giocare con la sabbia e a calpestare le lunghe onde dell’oceano sul bagnasciuga. Quì ci siamo un attimo coccolati godendoci un drink sulla terrazza della piscina dell’hotel con vista oceano, il paradiso.

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Coronado Island
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Last but not least lei, la Big Apple, la stupenda New York, luogo d’incontro mio e del coinqui nel lontano 2000. La città dei sogni, del nothing is impossible, la amo con i suoi pregi ed i suoi difetti. Siamo atterrati dopo un volo breve, ma assurdo, dopo un controllo meticoloso e blando. Avendo la baby ci hanno lasciato passare il latte nel biberon (erano le 5 del mattino e forse la colazione ci stava tutta, no?) dopo, giustamente, aver controllato allo scanner il liquido e le mie mani. Fin quì tutto ok, nella norma, meglio la sicurezza estrema, meglio i mille controlli. Arrivati in hotel mi sono accorta di aver viaggiato con un coltello nello zaino e non un coltellino da campeggio, ma il coltello con il quale abbiamo tagliato l’anguria a La Jolla e nessuno ci ha detto nulla ed aggiungo “MENO MALE” perché lo avevo acquistato a San Diego e mi piaceva troppo. Va beh, controlli pazzi a parte, NY è NY ed è stupenda nel suo stile. L’abbiamo girata in lungo e in largo, siamo andati da nord a sud, da est a ovest e JP era totalmente a suo agio. Non spiccicando una parola di italiano salutava tutti con Hello and Bye e poi Gogogo quando il semaforo scattava da rosso a verde. Quindi abbiamo scoperto che, oltre ad essere princess, è anche american inside. Abbiamo incontrato l’affascinante State of Liberty, controllato nel Wall of Honor di Ellis Island se c’era il nome del mio bisnonno (entrato da clandestino ovviamente non c’era), toccato gli attributi del toro di Wall Street nel Financial District (un po’ di fortuna non guasta mai), osservato in silenzio il Ground Zero, posato con l’Alma Mater alla Columbia University, mangiato davanti casa di Carrie un cupcake acquistato da Magnolia Bakery (veramente delizioso), pranzato nel Greenwich Village, cenato a Brooklyn (dopo aver attraversato a piedi l’omonimo ponte), fatto shopping sulla 5th Ave, sulla 7th Ave, sulla Broadway, a Times Square, giocato con gli scoiattoli di Central Park, rischiato di essere investita  da un … beeeeeeeeeep a Lincoln Center, insomma ci siamo goduti la Big Apple.

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In meno di un mese abbiamo affrontato climi diversi, temperature opposte, cambiato più fusi orari, indossato indumenti invernali ed estivi. Siamo stati temerari, audaci, spericolati, abbiamo cambiato la baby ovunque, in auto, nel passeggino, in bagni super accessoriati, nei parchi. Le abbiamo dato da mangiare di tutto, siamo passati dai ristoranti di lusso ai panini acquistati da Walmart, dal digiuno totale perché nulla le piaceva, al latte caldo acquistato nel cuore della notte da Starbucks. Abbiamo vissuto tutto con estrema naturalezza e tranquillità, non abbiamo fatto in modo che qualcuno si adeguasse alle esigenze dell’altro, ma ci siamo venuti incontro senza troppi problemi. Abbiamo visto luoghi magici sia con gli occhi di un adulto sia con gli occhi di un bambino, abbiamo giocato con gli scoiattoli, preso il sole con i leoni marini, abbiamo bevuto in un saloon western, mangiato in una tenda indiana, ci siamo persi in montagna dove abbiamo fatto un incontro ravvicinato con un orso impagliato (ma vi assicuro che faceva paura anche in quel modo), ci siamo rilassati su una spiaggia oceanica. La baby si è trovata totalmente a suo agio durante tutto il viaggio, ha dormito in letti lussuosissimi, è caduta da letti lussuosissimi, è stata bene, è stata male, ha mangiato, ha digiunato, si è stancata, si è riposata, Il suo primo viaggio? L’America! Il suo primo volo? Intercontinentale! Il suo primo mare? L’oceano! Beh, se tanto mi da tanto, chissà cosa ci riserverà il futuro…

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